Attraversare il tempo.
Era la prodigiosa miniera delle anime.
Come vene d’argento silenziose
scorrevano il suo buio. (Rilke)
Con Stele, le sette stele di legno che vengono incontro come araldi materici nel vuoto della Sala di Passaggio, inizia il percorso di Anna Romanello nell’universo delle Domus affacciate sull’antico Clivus Scauri, la salita di età imperiale vicina ai luoghi della grandezza di Roma.
Le stele, splendenti di colore, annunciano l’incontro di due mondi vivi e stratificati: quello della creatività di un’artista e le architetture delle Domus che il tempo e l’uomo hanno composto e de-costruito sovrapponendo forme e sostanze, antico e moderno, sacro e profano, sapere e sapienza. Il loro numero, sette, con tutta la forza simbolica insita in questa magica ripetizione si adatta perfettamente alla numinosità dei luoghi. Non a caso, diceva Jung, la creatività attinge profondamente a dimensioni archetipiche inafferrabili nella loro complessità.
Due bande imponenti di carta ignifuga – Occhio della voluta - nella Sala dei Geni si allungano parallele, come ante di un portone socchiuso su un altrove misterioso. Velate da una pioggia di segni e di colore, le colonne magnetiche e i capitelli impilati ripetono ipnoticamente un motivo: la voluta a spirale. Un’allusione segreta al tempo ciclico che non ha termine e si avvolge per ricominciare. Di là dal portone, nell’affresco della stanza, un carosello di foglie e fruttini sorretti dai Geni eleganti corre lungo le pareti tra svolazzi di uccelli e pavoni. Sotto la volta, cupidi e nature autunnali.
Tutto sembra stare e girare, come la voluta a spirale del capitello.
Il mondo pittorico e performativo di Anna Romanello attraversa il tempo delle Case Romane del Celio abitandolo con materiali e linguaggi “alieni”. Carta ignifuga, plexiglass, ceramica dialogano con le architetture stratificate, gli affreschi, le impronte e le tessere marmoree, gli altari e gli impasti cementizi che la luce e l’umido di secoli colorano di ocra, di verde, di gialli e aranci dalle mille sfumature.
Le opere, create per strati come la storia materica di questi luoghi, parlano attraverso una “scrittura illeggibile” di segni guizzanti che incidono trame, sovrappongono leggere alchimie, evocano presenze e memorie di luoghi. Corigliano Calabro, innanzi tutto, e poi Milano, Parigi con Hayter e l’Atelier 17 crocevia di sperimentazioni incise; Londra, Vancouver, Vienna, Sibari e altri luoghi ed esperienze di un’artista capace di “afferrare stimoli, mescolandoli nella materia insieme a colore e suggestioni sensoriali. La luce esalta la trama e diventa parte integrante della composizione”.
Lo sguardo dell’artista è dentro, non fuori le architetture e segue con il suo segno inciso le rughe del tempo. Ogni materiale usato è una lastra vergine su cui solcare trans-mutazioni.
A mano a mano che si snoda il percorso, le opere acquistano pienezze e trasparenze marziane come Sarcophage, le sei opere su acetato sospese nel luogo abitato da un sarcofago. Nelle quattro opere fotografiche incise su plexiglass - Invisibile traccia - il capitello, quasi sospinto dalla forza archetipica intrinseca al quattro, diventa magicamente un altare o un alieno: rimbalza, si riflette, si sdoppia. Lampi guizzanti di oro o di arancio lo separano magicamente dal suo essere “altro”.
Così accade in L’ombra di Proserpina le due opere su forex ispirate al Ninfeo di Proserpina, l’affresco nell’antico cortile. L’opera di Anna Romanello evoca presenze misteriose segnate di colore e guizzate da una rete di solchi. La sagoma dell’artista e la figura ricurva - doppio dell’immagine affrescata su un muro abitato dalla storia - s’inseguono, dialogano, si affrontano ora composte ora scomposte. Su di loro, Proserpina affonda un piede nell’acqua e allarga le braccia di venerea bellezza; guarda altrove lasciando ai lati e alle spalle un mondo e luoghi abitati da significati sfuggenti.